Qualche considerazione su: “I massacri di Luglio”

di: Francesco Filippini

“Ad Arbe ci misero nelle tende. Lì hanno cominciato ad ucciderci con la fame. Le persone crollavano una dopo l’altra. Portavano via i morti su barelle e li seppellivano senza vestiti. Trattavano male sia i vivi che i morti. Siamo sopravvissuti metà: tutti dei morti viventi.

Gli italiani ci trattavano peggio delle bestie e non ci davano neppure l’acqua. Ci trasferirono a Gonars. Lì siamo venuti a sapere che mio padre era morto ad Arbe. Mi sentivo talmente male che non mi importava più niente di morire. Ma, Dio mio, non si muore di tristezza. Mi sento sempre più male. Dopo tutte le sofferenze patite, tornai a casa con mia madre e i miei fratelli e trovai tutto bruciato”.

Mirko Pantar
(nato il 28-7-1932).

Anche quest’anno siamo arrivati al 10 febbraio. Dal 2005, ogni 10 febbraio la storia si ripete, farsescamente, sempre uguale a se stessa: sui media mainstream viene dispiegata una versione monca e distorta di quel che accadde a Trieste, in Istria e in tutta quanta la “Venezia Giulia” nella prima metà del ventesimo secolo.

La legge che nel 2004 ha istituito il “Giorno del ricordo” allude en passant alla “complessa vicenda del confine orientale”, ma non vi è alcuna complessità nel discorso che tale ricorrenza ha fissato e cristallizzato. Una vulgata italo-centrica, a dispetto della multi-culturalità insita in quelle regioni. Il Giorno del ricordo è stato istituito al fine di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. L’inquadratura, ravvicinata e al tempo stesso sfuocata, si concentra sugli episodi di violenza chiamati, per metonimia, “foibe” e sull‘“esodo”, ovvero l’abbandono di Istria e Dalmazia, a cominciare dal 1945, da parte di una parte (non-tutta!) della popolazione italofona di quei territori. Nemmeno a dirlo le foibe vengono presentate come causa immanente dell’esodo.

Il giorno del ricordo è stato il punto di arrivo di un progetto di lungo corso, di un patteggiamento di Violante direttamente con Fini. Un “patteggiamento della memoria” tra “comunisti pentiti” e “fascisti in doppiopetto”. La rappresentazione perfetta del paese reale. Gli “ex comunisti” volevano costruire la “memoria condivisa”; i “post fascisti” volevano semplicemente riabilitare i “ragazzi di Salò”. La posizionep dei secondi è politicamente coerente con la storia da cui provengono, è l’approccio dei politici di centro-sinistra che lascia di stucco, calpestando ogni buon senso e ogni principio storico: la memoria non è e non può essere condivisa, essendo un fatto parziale e di gruppo.

A sciogliere questo nodo, con molta pazienza, ci provano le pagine di questo libro di Giacomo Scotti, I massacri di Luglio (La storia dei crimini fascisti in Jugoslavia), che pur occupandosi prevalentemente di una piccola parte del territorio della Provincia di Fiume, dice qualcosa di una tragedia ben più vasta provocata dal colonialismo fascista italiano nei territori dell’ex Jugoslavia.

Un lavoro che prova a stimolare una presa di coscienza collettiva sul confine orientale, tenendo presente che “in Germania un tedesco su cinque è a conoscenza dei campi di sterminio nazisti. In Italia, per essere ottimisti, una persona su mille conosce questo triste pezzo di storia italiana legato alla seconda guerra mondiale. E’ assolutamente importante mantenere quindi la memoria e contribuire a ristabilire la verità storica (1)”.

È il libro che vorresti avere sottomano quando, e sono sicuro che a molti di quelli che stanno leggendo questa recensione è capitato, spunta qualcuno che sbraita “e allora le foibe?1?1??”

L’intento di questo lavoro è capire come sia andata e cosa sia successo sul confine orientale per mettere ogni evento al suo posto nella giusta concatenazione storica. L’approccio è quello di una minuziosa e paziente ricerca storica, terapia più che mai utile nel tempo di quella che i Wu Ming (2) hanno chiamato “ideologia del Giorno del ricordo”, per disinnescare meccanismi difensivi che favoriscono reticenze e revisionismi. Governanti, capi di partito di qualsiasi colore, autori in cerca di notorietà, ogni anno fanno a gara a chi la spara più grossa per alzare sempre di più il numero degli infoibati. Evidentemente questa spettacolarizzazione, non solo favorisce qualsiasi sciocchezza, ma impedisce un reale approfondimento degli eventi storici. Il merito di questo libro è sicuramente quello di, documenti alla mano, provare a raccontare la storia nel suo realizzarsi, per informare il lettore, che solo in questo modo può tentare di affrontare e misurarsi con il passato.

Quando si parla di foibe, sul confine orientale la storia sembra cominciare a Trieste nell’aprile 1945. Il libro invece tratta il periodo che va dal 1940 per arrivare al 1945, quando è proprio agli inizi degli anni 40 che l’”italianizzazione” forzata della popolazione è al culmine.

Il volume si occupa della “bonifica etnica”, ossia la snazionalizzazione forzata delle popolazioni della Venezia Giulia operata dal fascismo ben prima, ovviamente, della fine della guerra. I tentativi di snazionalizzazione – dalla toponomastica nei territori occupati poi “aggregati” e infine annessi alla Provincia di Fiume – iniziarono con un decreto del prefetto Temistocle Testa del 30 Aprile 1941.

I lettori potrebbero pensare “che cosa c’entra tutto questo con le foibe?” C’è evidentemente un elastico che lega i crimini italiani, spesso e soprattutto volentieri omessi, che questo volume descrive nel dettaglio, e quello che è accaduto dopo.

Un libro che prova a seppellire definitivamente il mito auto-consolatorio e vittimistico degli italiani “brava gente”, discorso che ha contribuito a nascondere sotto il tappeto molte infamie.

Il discorso veicolato da questo mito presenta gli uomini delle truppe italiane, a confronto con i soldati tedeschi, come degli occupanti allegri e tutto sommato innocui. Un comandante cetnico, alleato degli italiani, riferì: “Gli italiani non uccidono tanto come i tedeschi, ma distruggono tutto, così dopo muoiono tutti (gli slavi, ndr) per fame. Hanno saccheggiato e bruciato tutto dove sono arrivati. Hanno perfino smontato le campane delle chiese (3)”. Ancora, lo storico del Boca annota “Anche se la presenza dell’Italia fascista nei Balcani ha superato di poco i due anni, i crimini commessi dalle truppe di occupazione sono stati sicuramente, per numero e ferocia, superiori a quelli consumati in Libia e in Etiopia […]. Nei Balcani il lavoro sporco lo hanno fatto interamente gli italiani, seguendo le precise direttive dei più bei nomi del gotha dell’esercito (segue una lunga sfilza di nomi in originale) (4)”.

Il lavoro di Giacomo Scotti, con un continuo riferimento alle fonti, mostra come in Jugoslavia l’esercito italiano ricorse anche all’internamento dei civili nel quadro di un’occupazione violenta ed esplicitamente razzista che non escludeva l’incendio dei villaggi e la fucilazione di ostaggi civili, e che ha lasciato nelle popolazioni locali “uno straccio di rancori e risentimenti nei confronti della comunità italiana, che ancora oggi stenta ad attenuarsi”. L’internamento concorreva al fine della “sbalcanizzazione” del territorio. Era questo un vecchio proposito fascista – che oggi chiameremo pulizia etnica.

Il mito degli “italiani brava gente”, con le sue pratiche discorsive, ha evidentemente influenzato il “Giorno del Ricordo”, le cui frecce sono rivolte unicamente e, per l’ennesima volta, contro i popoli della sponda Orientale dell’Adriatico, contro i “barbari” slavi, croati e sloveni, gli “infoibatori anti-italiani”. Abbiamo così assistito e continuiamo ad assistere a una semina intensa di rancori e odio contro popoli che subirono gli atroci crimini del fascismo, una campagna che è un ennesimo prodotto di falsa coscienza.

Nonostante tutto il libro è attraversato da una radicata e appassionata convinzione, che un giorno, forse nemmeno troppo lontano (ma questo dipende da noi!), cesseranno del tutte le rimozioni e le false revisioni, quando non ci saranno più carte da nascondere in qualche “armadio della vergogna”, finirà la leggenda del “fascismo che ha fatto anche qualcosa di buono”, e del confino descritto da Mussolini, e oggi da Berlusconi come luogo di villeggiatura.

Note:
1_ G. Scotti, I massacri di lugio, Red Star Press, Roma 2017, pp. 237.
2_I Wu Ming, insieme al collettivo Nicoletta Bourbaki, si sono occupati del confine orientale nel loro blog https://www.wumingfoundation.com/giap/
3_G. Scotti, I massacri di lugio, Red Star Press, Roma 2017, pp. 234
4_Ivi, pp. 235.

I massacri di luglio” di Giacomo Scotto, Red Star Press 2017
Collana: Unaltrastoria
Pagine: 256 pp. illustrato con foto d’epoca
Formato: 13×20 cm brossurato con bandelle
Isbn: 9788867181124
Prezzo: 18.00 Euro