VENERDì 16 FEBBRAIO, alle ore 21, Libreria Indipendente “Colonna 130” e Spazio Autogestito Grizzly Fano presentano:
Openminds #2 -Cosa succede ad Afrin? L’aggressione turca alla rivoluzione del Rojava-
Ne parliamo con Karim Franceschi, comandante del battaglione internazionale nella guerra all’isis.
***Verso il corteo di Sabato 17 febbraio a Roma, DefendAfrin – libertà per Ocalan e giustizia in Kurdistan
Il 20 gennaio scorso la Turchia ha dato il via all’operazione militare “Ramo d’ulivo” contro il cantone di Afrin nel nord della Siria. Afrin è una città a maggioranza curda, ma abitata anche da cristiani, arabi e diverse altre etnie.
Afrin, assieme a Kobane e Jazira, è uno dei tre cantoni del Rojava, una zona in cui dal 2012 i kurdi costruiscono un progetto di democrazia radicale, basato sull’autogoverno per realizzare l’uguaglianza e la piena giustizia sociale in quei territori.
L’attacco turco, che ad oggi ha provocato tra i civili 150 morti e 298 feriti, è passato praticamente sotto silenzio da parte dei media mainstream italiani, ma non solo.
A pochi mesi dalla vittoriosa liberazione di Raqqa da parte delle SDF (Syrian democratic forces) ai danni dell’ISIS, oggi Erdogan, con il silenzio e l’impunita dell’Unione Europea, degli Usa e con il benestare delle Russia attacca la città di Afrin.
Attaccare questa città significa attaccare e provare a distruggere la rivoluzione democratica del Rojava.
Significa tentare di annientare il progetto di confederalismo democratico nella Siria del nord.
I curdi siriani, l’attore più importante che negli ultimi anni ha combattuto e sconfitto militarmente l’Isis sul campo, ora si trova di nuovo sotto attacco da parte del governo fascista ed islamista di Erdogan che vuole, nuovamente, destabilizzare la Siria per poi in maniera più agevole spartirsela con le potenze regionali ed internazionali.
Al di là delle valutazioni di carattere economico e politico più generale, che non sono certo ininfluenti, vogliamo fare una constatazione, piuttosta ovvia, forse, ma comunque importante.
Ciò che Erdogan, insieme a milizie islamiste di vario genere, attacca oggi ad Afrin è la rivoluzione del Rojava: la capacità, insieme alla volontà politica da parte dei curdi, non solo di sconfiggere l’Isis sul campo, ma anche di costruire basi nuove per dare stabilità e pace ad una parte di Medio oriente, sconvolta, non certo da oggi, da guerre per la spartizione delle risorse e del territorio. Il progetto rivoluzionario del confederalismo democratico rappresenta il più grande pericolo per il sultano turco.
L’attacco ad Afrin sta avvenendo sotto il silenzio assordante dell’Unione Europea. I curdi assieme ai tanti combattenti internazionali che si sono uniti alla loro lotta, sono per i governi europei, Usa e russi, pedine sacrificabili sull’altare di accordi economici con la Turchia. L’Europa ha dato e continua a dare miliardi di euro alla Turchia per bloccare in condizioni disumane i profughi. La Russia vede nella Turchia un partner fondamentale nei suoi progetti di nuovi gasdotti e gli Usa non possono rinunciare alla Turchia come membro della Nato.
La stessa Turchia che non solo ha finanziato, coperto ed aiutato lo Stato Islamico, ma che ora si serve di molte milizie jihadiste per combattere i curdi ad Afrin.
La Turchia è il miglior alleato dello jihadismo e degli jihadisti, ma nessun governo ha la volontà politica ed il coraggio ne di affermarlo con forza, ne di fermare questa situazione.
Noi sappiamo che la sola forza che ha combattuto, combatte e combatterà la Turchia e gli jihadisti sono i curdi siriani. La loro lotta è la nostra lotta. La rivoluzione del Rojava è la nostra rivoluzione.
Mentre scriviamo queste righe, oggi, lunedì 5 febbraio, a Roma, Papa Francesco, il premier Gentiloni e il presidente Mattarella hanno incontrato Erdogan e hanno stretto, tra baci ed abbracci, le sue mani sporche di sangue. Il sangue dei civili e dei combattenti curdi, ma anche il sangue delle migliaia di vittime, in Europa e in tutto il mondo, del terrorismo jihadista, coperto e finanziato proprio da Erdogan.
Allo stesso tempo, una manifestazione di protesta contro la visita del dittatore turco veniva brutalmente caricata dalla polizia. ll bilancio è di diversi feriti e fermati.
Nonostante il massacro che turchi e jihadisti stanno compiendo ad Afrin, i combattenti delle YPG (unità di protezione del popolo) e delle YPJ (unità di protezione delle donne) stanno difendendo quei territori e lo faranno fino alla fine. Difendere Afrin significa difendere la Rivoluzione del Rojava.
#DefendAfrin #Afrinisnotalone
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