Quando ammazzarono i precari, una recensione

di Jackob Flint
(già apparso su www.arvultura.it)

Qualche mese fa, mentre perdevo del tempo in rete mi sono imbattuto in “quando ammazzarono i precari” e appena ho potuto l’ho letto avidamente perché più lo leggevo e più mi stupiva. Questo romanzo di Cristian Giodice mi ha completamente preso di sorpresa perché pensavo fosse un’altra cosa.Mi sono approcciato a questo libro pensando di trovare l’ennesimo romanzo relegabile al filone di letteratura sociale che va sempre più di moda in questo periodo di deriva, la storia di un precario più o meno sfigato. Il lettore invece si trova di fronte a qualche cosa di completamente diverso, qualche cosa che lo stordisce con il capitolo iniziale, fantascientifico, dove si ha a che fare con il Delinguato, partecipante inconsapevole del ‘progetto silenzio’.La storia del Delinguato è paradigmatica di un’intera generazione precaria, la nostra, che non riesce più a parlare. L’autore volontariamente esce dal posto di lavoro per raccontare quella che è la vita quotidiana di ognuno di noi.

Nelle pagine di Cristian vive una generazione plasmata nelle proprie emotività da una concezione dell’intorno estremamente condizionata dalla situazione lavorativa.Il precario descritto da Cristian quindi vive di ansie, incertezze e insicurezze, si nutre di cultura, desideri, vive di disordini alimentari e lo muove la volontà di rivalsa e rivincita.C’è un momento in cui il Delinguato pare voler prendere in mano la sua vita ed è quando inizia a scrivere il Manifesto della cucina degustizzata, un tentativo estremo e disperato di rivolta – oltre che un interessante ammiccamento dell’autore al futurismo, sua grandissima passione.Nella seconda parte del libro entriamo nella storia di un giovane, l’Anonimo Uno che è un operaio a tempo indeterminato, legge, ha la sua casa, il suo confine sicuro che viene distrutto dal licenziamento che lo porta a piombare nella condizione precaria.

Tutti i protagonisti da ora in avanti avranno per nome il numero d’apparizione. L’anonimato è generalizzazione perché il precario è chiunque di noi, tutti e tutte sono coinvolti.La sua storia quindi è storia condivisa. Il nuovo precario si avvicina all’attivismo politico a inizio anni 2000, c’è la narrazione della grande manifestazione del sud e del nord, c’è il tentativo collettivo di uscire e finalmente liberarsi dalla condizione precaria.Nella storia dell’Anonimo Uno c’è la nostra storia, una storia confusa e collettiva che si oppone alla frustrazione del singolo davanti alla condizione lavorativa e alla tendenza di concepire l’altro come concorrente, come un potenziale pericolo.La terza parte del romanzo, la più romantica parla di riappropriazione citando le bande del secolo scorso e Bonnot su tutti e l’Anonimo Uno, proprio come Bonnot e la sua banda si lanciavano su bolidi potentissimi per compiere le loro rapine spettacolari, immagina che a breve Palomar arriverà al sole e da esso sarà in grado di lanciare la palla di fuoco verso di noi scagliandola con violenza inaudita. Una citazione, quella a Palomar di Calvino e alla palla di fuoco, che altro non è che il sole dell’avvenire per chiudere il romanzo con un messaggio positivo, nonostante tutto.

Puoi comprare questo libro dal sito dell’editore Lorusso o in una delle librerie.

Presentato il 22 maggio 2015