Maneggiare con cura, una recensione

di: Sara Di Meco

“Maneggiare con cura” è uscito a marzo, in un momento surreale. Noi lo conoscevamo già prima della pubblicazione perché la sua presentazione era in programma durante il festival Eterotopie #4 della libreria indipendente Sabot.

Ma a fine marzo quando il gruppo di lettura Sabot ha deciso di leggerlo nonostante il festival fosse stato rimandato, il libro non era tra gli scaffali di una libreria, non lo si poteva scegliere fra altri. Lo si poteva solo acquistare davanti ad uno schermo. Per chi lavora nel settore dell’editoria questo non è di certo un aspetto da sottovalutare.

C’è un parallelismo strano tra il momento in cui leggiamo e le vite che ci racconta l’autrice Gabriella Kuruvilla: tutto è fermo dentro un incompreso presente, lo sono le nostre vite chiuse tra quattro mura come lo sono le esperienze dei protagonisti di questo romanzo polifonico.

Ashima è una professoressa di scultura, di origini indiane che vive a Milano. Dall’India ha portato con sé un sari e degli ori che non indossa mai forse perché le ricordano tradizioni troppo strette per la sua idea di libertà ma che non butta perché per lei sono “ricordi, contenitori di significati”.

“Il sari e gli ori li aveva portati con sé dall’India, la collana di perle era uno dei regali di nozze che le aveva fatto il mio patrigno. Dovevano essere tutti oggetti non di suo gradimento, evidentemente. Ma se non li aveva buttati voleva dire che per lei erano ricordi, contenitori di significati.”

Quei significati di cui invece è priva la sua vita attuale, quella stessa ricerca di senso che pervade le storie degli altri personaggi tutti legati alla sua storia. Ashima si suicida. Il giorno del suo funerale Diana, Pietro, Manuel e Carla partecipano per motivi differenti alla cerimonia, anni dopo le loro vite si intrecceranno.

Questi quattro protagonisti appartengono ad una generazione, dai 30 ai 40 anni, che vive una vita precaria, tra lavori instabili, relazioni complesse e difficoltà personali. Sono come un pacco fragile, “da maneggiare con cura”.

Rifuggono dal nucleo famigliare, non vogliono avere relazioni come quelle dei loro genitori in cui non c’è comunicazione e l’unico aspetto importante è rispettare un’idea di normalità imposta dalla società.

Criticano il passato ma affrontano il presente come sprovvisti di bussola, dove tutto accade per caso, vorrebbero cambiare la loro esistenza ma non hanno il coraggio; sanno osservare ma non riescono a trovare le risposte.

“L’integrazione a volte provoca cancellazioni del passato causate da eccessivi adeguamenti al presente.”

Passato, presente e quale sarà il futuro? Quale sarà il nostro futuro? Dare una risposta a questa domanda sembra quasi impossibile, ma l’autrice compie un’azione importante, la stessa che compie Alberto Prunetti in “108 metri, the new working class hero” (Laterza edizioni) o Simona Baldanzi in “Figlia di una vestaglia blu” (Alegre) o le scrittrici della raccolta di racconti “Future” (Effequ).

Gabriella Kuruvilla, raccontando la precarietà insita di queste vite, si prende cura di una generazione che già da tempo avrebbe dovuto rappresentare, immaginare, pensare il futuro, ma che è stata impossibilitata a farlo. Da voce ad una problematica e lo fa all’interno di una narrazione che seppur a volte sembra rimanere in superficie, inevitabilmente colpisce perché ci racconta e ci rappresenta.

MANEGGIARE CON CURA di Gabriella Kuruvilla, Morellini Editore, 2020, 224 pp., 14.90 euro