di: Giulia Alfonsi
Un Ulisse contemporaneo
Shahram Khosravi oggi è uno spettabile antropologo iraniano che insegna all’Università di Stoccolma, ma nel corso della sua vita è stato un disertore, un clandestino, un reietto della società. È stato l’Altro.
Adolescente nell’Iran degli anni ’80 – anni di sanguinosi conflitti e massacri – con la conclusione della sua carriera da liceale riceve la cartolina di convocazione dall’esercito che lo obbliga a prendere parte all’atroce guerra tra Iran e Iraq, in cui si stima siano morti oltre mezzo milione di adolescenti (Amani, 1992).
Shahram non ci sta, dopo il diploma decide di imboscarsi ed iniziare la sua vita illegale. Clandestino nel suo stesso paese, decide di emigrare e chiedere asilo politico in Europa e così, un po’ come un Ulisse moderno, inizia la sua di Odissea.
Nel suo peregrinare toccherà terre differenti ed incontrerà numerosi personaggi; violerà i confini dell’Afghanistan, del Pakistan e dell’India, fino a raggiungere la sua destinazione finale, del tutto casuale, la Svezia.
Ma Ulisse viveva in un’epoca in cui l’ospitalità era tanto filantropia quanto un diritto umano; in cui ancora non vi era questo “feticismo dei confini” e non si determinava cosa e, soprattutto chi, fosse considerato naturale o contro natura.
I poliziotti mi perquisirono e mi chiesero da dove venissi e come fossi arrivato a Stoccolma. Era febbraio e la finestra era socchiusa. Io indossavo la giacca leggera con cui ero partito da New Delhi e morivo di freddo. Quando lo dissi al poliziotto, sperando che chiudesse la finestra, lui mi rispose “Voialtri rifugiati fate sempre un sacco di scene”. Mi chiesi cos’ avrebbe detto se gli avessi parlato degli ospiti dell’Hotel Shalimar, con le loro storie di morte, stupri, suicidi e sofferenza.
Che cosa vedremmo se il confine lo guardassimo stando dall’altra parte?
Khosravi definisce la sua opera auto-etnografica, perché alterna esperienze personali ad analisi etnografiche; nata dal pensiero poetico di chi la realtà stenta a comprenderla a fondo, riprendendo le parole dell’antropologo Jackson; infine “saggio”, nell’accezione del termine francese “essai”, tentare, in quanto il suo è un tentativo di mostrare le cose, non solo raccontarle.
E la sua forza è proprio questa: ci presenta le drammatiche conseguenze di una politica di esclusione, dell’erigere confini, del non considerare chi abbiamo di fronte esseri umani ma homines sacri [Agamben, 1998], ovvero uomini privati di qualsiasi forma di diritto, i migranti appunto, esposti alla violenza dello Stato.
Con un prosare lineare e scorrevole intreccia quella che è la sua esperienza personale di clandestino a riflessioni di natura antropologica, scientifica, filosofica ed umana con continui richiami letterari che partono da Omero, attraversano Kafka, Walter Benjamin e la Arendt.
Questa opera diviene strumento di comprensione della realtà ed un’indagine politica ed intellettuale che si interroga sul nostro mondo, mettendo al centro chi dalla Storia è stato sconfitto. Insomma è un’opera che offre veramente gli strumenti necessari per rispondere alla domanda “e se fossi io l’altro?”.
IO SONO CONFINE di Shahram Khosravi, edizioni Eleuthera, 2019, 240 pp., 18 euro